Le jardin qu’on mange (il giardino da mangiare)

Le jardin qu’on mange (il giardino da mangiare)
Prof. Arch. Cristiano TORALDO DI FRANCIA (UNICAM), Prof. Arch. Franco PANZINI,
Arch. Cristina ANTONELLI, Arch. Laura FELICIANI, Arch. Silvia PETRINI

Il progetto de le jardin qu’on mange è stato selezionato su 266 concorrenti dalla giuria del concorso internazionale del Festival International des jardins 2008 per la costruzione temporanea nel grande parco del castello di Chaumont. Il Festival è nato per opera di Jean-Paul Pigeat nel 1992, riunisce intorno a un tema prestabilito l’attività di artisti e paesaggisti con istallazioni e mostre. Il tema del Festival 2008 è ”des jardins en partage”: …”il giardino è il luogo per eccellenza della condivisione. Terreno di scambio, di arricchimento e di trasmissione del fare, è un luogo ideale di incontro tra le generazioni. Piccoli e grandi vi si ritrovano, per giocare o per imparare, e per comprendere allo stesso tempo i misteri della vita, poiché il giardino è un luogo vivente, un’opera d’arte vivente”…”Il giardino è anche il riflesso della condivisione armoniosa tra l’uomo e la natura. Specchio delle preoccupazioni ambientali contemporanee sulla conservazione della biodiversità e sul rispetto degli equilibri ecologici, il giardino porta dentro di sé molte chiavi del nostro avvenire.”
Presidente del consiglio di amministrazione del Domaine di Chaumont-sur-Loire è Francois Barré.
I paesaggisti invitati a partecipare con il loro progetto di giardino sono Alexandre Chemetoff, Michel Corajoud, Florence Mercier, Michel Pena e Jaques Simon.

foto delle fasi di lavorazione del giardino

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Dal testo tratto da Le jardin qu’on mange:
”L’agricoltura è una tecnica, talvolta una pratica, volta alla trasformazione degli elementi primari (come l’acqua, la terra, l’ossigeno, l’energia…) in varietà alimentari. Viene definita, allo stesso tempo, come scienza dello sfruttamento di risorse naturali organiche. L’agricoltura moderna si basa sempre più sull’iniezione di energia esterna al sistema. Le pratiche tradizionali utilizzate prima della rivoluzione verde avevano il difetto di non essere in grado di offrire dei prodotti in grande quantità ed economici, attraenti per il consumatore, ma soprattutto coerenti con gli standard qualitativi e di sicurezza imposti dalla legge e adattati ai processi di trasformazione industriale. Un ramo di questa agricoltura tradizionale prende oggi il nome di ”agricoltura biologica”, che ancora oggi costituisce indubbiamente un mercato di nicchia e offre dei prezzi accessibili solo per una parte della popolazione. D’altra parte l’agricoltura intensiva presenta problemi di sviluppo del suolo e per questo, di anno in anno, cresce, nei settori più attenti ai problemi ambientali, l’esigenza di un’eco-tecnologia agricola.
Con la costruzione di questo giardino, allo stesso tempo frutteto e orto, si è inteso valorizzare l’agricoltura tradizionale e i prodotti di stagione, immaginando un ”menù a km 0”. Si trovano al suo interno citazioni di antiche tecniche agricole, come la vite maritata agli alberi da frutta e il giardino dei semplici, che era l’orto medioevale in cui i monaci coltivavano le piante officinali.
Una grande tavola, completamente immersa nell’atmosfera del mondo agricolo, esce dal suolo per raccoglierne i prodotti e allo stesso tempo creare un luogo di condivisione e scambio. Dal seme, al prodotto, alla tavola: un momento conviviale dove comprendere come il paesaggio dipenda dal consumo di questi prodotti…più prodotti della terra mangeremo, più il paesaggio si arricchirà.
La ricchezza del paesaggio, raffigurata dai totem bianchi di scatole per conserve di latta, è strettamente collegata con quella della nostra alimentazione.
Il giardino vuole anche alludere al fatto che oggi non è più il caso di contrapposizioni tra ”natura naturans” e ”natura naturata”, ma che è più opportuno pensare che tutto è paesaggio. Come la tavola è una striscia di suolo che si stacca da terra, ma alla terra poi ritorna, cosi’ intorno alla tavola si consuma quel passaggio tra paesaggio agricolo, la sua trasformazione in merce ed infine il ritorno attraverso il mangiare al paesaggio del corpo, dove avviene l’ultima trasformazione in energia, pensieri, sogni: il paesaggio della mente.
E allora ritorna anche il ricordo della tavola in pietra attraversata da una striscia d’acqua a Villa Lante dove il rituale della coenatio segna il passaggio dal giardino delle emozioni al giardino della mente”.

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